giovedì 18 agosto 2011

Queste sono cose che ho scritto con amore.

Ovviamente tutto è riferito a fatti realmente accaduti.

Ciao,tiamo.
Ho sempre saputo che sei un cane da libertà, perchè, quando c’è, tu insegui il vento.
-Al mio cane la ripetevo sempre, con le lacrime agli occhi.

I libri rimangono sempre fedeli a se stessi e a noi. E noi, a volte, siamo capaci di voltare le spalle alle loro pagine: che siano bianche, avorio o giallastre. Magari, anni fa, avevamo un libro, il nostro libro, la nostra punta di diamante: ci sembrava infrangibile, ci sembrava che nulla potesse reggergli il confronto, ci sembrava sarebbe stato il nostro libro per sempre. Ma sono passati gli anni, ci siamo dimenticati le nostre frasi preferite, ci siamo dimenticati le pagine migliori, ci siamo dimenticati la trama e i luoghi, addirittura i personaggi. Mi mancano alcuni libri, tanto, ma ho paura di rimanere delusa leggendoli. Perchè sono cambiata, e loro son rimasti uguali, e se li apprezzavo prima, potrò farlo ora?
-A me stessa.

Tornerò nel mondo che avevo conosciuto, mi piacerà ancora, forse più.
Con i suoi colori sgargianti, i suoi odori forti e i suoi sapori irresistibili.
-Io, quando ho vomitato dopo anni che non lo facevo più.

Di principio mi manchi già.
-Io sul mio cane, quando ho saputo di dover darlo via. Un mese prima che se ne andasse.

'Siamo dei romantici'.
Dopo dieci anni che vedo un film, almeno otto volte l’anno,
quando mi accorgo che mi tremano le gambe,
e piango ancora come la prima volta,
mi chiedo se l’amore della mia vita io non l’abbia già trovato.
-Io, su Il Signore Degli Anelli .

Ultimamente ho tanta ispirazione quanta ne ha un cocainomane in astinenza.
-Io sulla mia fantasia, in momento di secca.

ìan è più bello di iàn.
‘Sembri un cuore’ mi ha detto ieri mia sorella dopo che le ho parlato di te. Mi sentivo gli occhi bruciare di stelle inespresse, mi sentivo le labbra tirare dall’amore. ‘Pronto!’, con un sorriso ebete e preoccupato in faccia, ‘Ehi, ciao, sono ìan’. ‘Ohi, ciao - sorrisone innamorato - sabato e domenica vego su a Torino.. mi chiedevo se fossi libero’. E il resto viene da se, il chiamarti venerdì viene da se. Sei cosi pallido, hai una voce cosi bella e serena. Che poi ìan è più bello di iàn, dato che tu sei una cosa bellissima ti chiamerò sempre nel primo modo. Chissà se potrò abbracciarti o sorriderti, sabato. Chissà, piuttosto, se lo farai tu.
puoi leggere qua.
Facciamo cosi [tanto io so che tu non mi senti e non puoi sapere in alcun modo quello penso, non lo puoi leggere, non me lo puoi chiedere su un cellulare e siamo distanti duecentonove chilometri (che, in realtà, tutto questo, soprattutto la distanza, mi uccide) quindi l’unica sarebbe il telefono di casa ma io non riesco a chiamarti e tu boh, magari ti sei anche dimenticato di me], sabato porto la ladra di momenti e le faccio rubare un tuo attimo o, perchè no, magari un nostro attimo. Tanto, anche se non sei libero, al novanta per cento delle probabilità ti vedrò comunque, verrò a vederti giocare a basket. Verrò a fare il tifo per te, senza capirci nulla. L’attesa mi inchioda a un muro di disperazione fatto dell’ignoranza del mio cervello per i tuoi pensieri. E sarà la miliardesima volta che me lo chiedo, cosa pensi di me? Sempre se mi pensi mai.
Sto facendo interventi senza senso, destinati a qualcuno che non leggerà mai.
Sono felice, molto felice. E i tuoi occhi sono nascosti dalle nuvole. 
Mi manca qualcuno, come niente e nessuno mai m’è mancato. E non mi sono dimenticata la sua voce.
-Io, su qualcuno che mi piaceva troppo e che non ho più rivisto. 

(H)ate.
Io ti odio perchè quando abbiam mangiato insieme mi sei entrato nello stomaco insieme a tutte le portate. Eri più dolce di quella tropesien che abbiam mangiato insieme sorridendoci, ipotizzando quanto fossimo più dolci e simpatici dopo averla mangiata. Eri molto più dolce di lei.
Sperando non sia di più.
Quando ti rivedrò non saprò cosa fare. Aspettare ancora una settimana e mezza, sperando non sia di più, è quello che devo fare prima di vederti, con tutto quello che ci sta dentro e un bel viaggio in treno di tre ore e dieci minuti. Mi piace sperarognare tu che mi aspetti al binario e mi abbracci forte quando mi vedi. E mi sorridi, e camminiamo per la città mano nella mano incuranti di tutto e di tutti, se non dei nostri occhi e dei nostri sorrisi. Ma quando ti vedrò cosa cazzo devo fare? Impazzirò di sguardi e parole non dette, questo è certo.
Sto impazzendo di sorrisi, e d'occhi luccicanti d'acqua oceanica. 
-Io, su qualcuno che mi è entrato nello stomaco insieme ad una cena +lo stesso di prima+.

Ieri notte ho sorriso, quando sono entrata nella palestra in cui stava per cominciare la partita. E tu ti sei appeso a una ringhiera per baciarmi, dedicandomi durante la partita ogni tuo canestro, guardandomi dentro gli occhi e baciandomi l’oceano.
-Un sogno che ho fatto +sullo stesso di prima+.

O amore, profumi di fiori.
Di solito non sono una che aspetta la primavera. Io sono da sempre un’amante dell’inverno, fin da piccola io guardavo la neve e il cielo grigio con occhi innamorati. Odiavo quando il sole rientrava in questo cielo fresco, per me significava la neve che se ne andava e si scioglieva sotto i suoi raggi. Ora qualcosa è cambiato, negli ultimi anni non c’era nemmeno più da soffrire quando arrivava la primavera, perchè non nevicava più. Comunque non l’ho mai desiderata troppo, il caldo mi nausea e il sole mi odia, come io odio lui, o almeno facevo.
Ieri è arrivata la primavera, senza violenza, questa volta. Il sole mi illuminava i capelli e mi faceva diventare gli occhi dell’azzurro dei tuoi. Il sole aveva la lucentezza che qualche giorno prima usciva dai tuoi occhi, come un fiume in piena. Oggi ho notato gli alberi fioriti, i fiori splendevano di una luce che non avevo mai visto in sedici anni. Nessuna di queste cose luminose mi nauseava, niente mi odiava. Mi sono ricordata infine che la primavera quest’anno è arrivata prima per me, addirittura ben accolta. E’ arrivata due giorni prima, un sabato sera quindi. La primavera è arrivata un sabato sera, esplodendo nei tuoi occhi, fluendo nelle tue parole. E il tuo sorriso è stato il sole più caldo ch’io abbia mai visto, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un momento.
Le migliori scuse,
No, prof! Oggi è una di quelle giornate in cui il sole splende caldo, da primi attimi di primavera, e comincia a sciogliere anche i cuori più freddi dall’inverno. Stamattina ero troppo innamorata per ricordarmi i libri, mi dispiace.
E per la prima volta in vita mia ho guardato dentro gli occhi di una persona e sentito le sue parole nella mia testa, sole. E tutti gli altri problemi, gli altri pensieri, sono sfumati nell’azzurro dei suoi occhi, nella sua bocca in continuo movimento e nei suoi sorrisi luminosi. Il resto è svanito. Grazie.
 -Io, sempre su lui.

Questo è uno di quei momenti in cui il mio cervello decellera e mi sento affetta da demenza senile. E’ uno di quei momenti in cui il cervello si prende una vacanza dai miei occhi e dalle mie orecchie, e si spegne.
-Io, sul mio cervello.

Ho deciso che io sposerò Torino, merita il mio amore e mille cose ancora.
-Io su Torino.

Ciao, sei la mia rovina.
Con quei tuoi capelli ricci, e quella tua barbetta che mi diverte un sacco toccare. E quella tua erre moscia che è di una tenerezza pazzesca mi fa sorridere ogni volta, che narra i tuoi pensieri poco lineari. E quel tuo amato ozio, quando ti vedo li cosi saresti da prendere e portar via con me. Ma le migliori in assoluto sono le tue mani calde, cosi calde che mi potresti riscaldare una vita. Però ti conosco, e ti amo da metà del tempo che ti conosco. E riesco sempre a mettere in piedi un discorso lineare per tutti, tranne che per te. Chè quando ti vedo la mia lingua si annoda, il mio stomaco si chiude e le parole si smorzano nei polmoni. Sei cosi bello, i tuoi occhi, le tue labbra, le tue braccia, le tue uscite. Sei cosi bello che mi odio e che ti amo. Ciao, F., io non parlo, ma tu sei la mia rovina.
-Io, sul ragazzo che conosco da sei anni e che amo da te.

veramente.
Certo che la scuola è proprio una goduria, entri, stai con gente più o meno accettabile e esci. Ogni tanto magari prendi qualche bel voto e ti godi le osservazioni piene d’invidia (indivia) travestita dei compagni, e quando prendi un brutto voto puoi sempre (o quasi) esser sicuro di aver qualcuno con cui riderci sopra e magari commentare. O fare gli scemi perchè il tuo compagno ha preso 4 e tu 4 meno anche se hai fatto tre punti in più, ma alla fine cosa conta se il professore sul registro li segna come 4 perchè dice che è indecente metter meno di cosi. Il professore di pianoforte, invece, se ti va bene, e nel mio caso va sempre bene, riesci a, per cosi dire, abbindolarlo (?). Entri, ti chiede se hai studiato, io mi metto a ridere, cosi ride anche lui. E poi ti chiede cosa vuoi fargli sentire, mah veramente profe decida lei mi è indifferente però se posso chiederle una cosa quel minuetto di Bach non è che sia dei migliori. E quando ti chiede se vuoi cambiarlo, il delirio, veramente profe quello che più gradivo l’ha già assegnato però se ce n’è uno più carino di questo non mi tiro indietro. Bisogna fare cosi, a lezione individuale, un po’ i pp (poveri pirla), cosi il profe sarà un po’ più sorridente. Profe ma perchè ha scelto tutti pezzi di Bach? e lui ti risponde che farà sempre cosi, sempre solo un compositore, ma veramente profe non metterebbe mai Beethoven? e ancora non ci ha pensato si è fermato ai russi. Invece a lezione di clarinetto il professore ti chiede di fargli sentire un brano, fortunatamente l’unico che sai perchè hai appena finito di suonarlo per venti volte, uscita dall’aula d’orchestra, e poi cominci tu: profe veramente sta settimana volevo avvisarla che ho studiato veramente poco ho avuto veramente qualche problema non molto piccolo che veramente mi ha un po’ lasciata senza fiato e poi oltre a quello ho una pessima faringite e la gola è veramente chiuso e veramente ho un bruttissimo suono come avrà notato. E veramente, a quel punto, la tua voce è più rotta di prima.
-Io sul periodo in cui dicevo sempre veramente. L'ultima parte, di quando parlo col prof di clarinetto, riguarda la morte di mio nonno *la mia voce era più rotta di prima*.

Città.
Mille ali spiegate, prendere il volo sopra una città mangiata dalle fiamme della vita che scorre sterminata in nuvole di inquinamento, e facce tristi, e mani chiuse, e muscoli tesi, e macchine lanciate in corsa, e pedoni che aspettano il verde, e metropolitane che fanno tremare vecchi edifici, e vecchi edifici che tremano perdendo polvere, e persone perse nella stazione dei treni che non sanno a che binario e a che orario dirigersi, e trolley rumorosi per le strade, e taxi bianchi che aspettano clienti, e prostitute che aspettanto altri clienti (che non sempre non coincidono con quelli dei taxi), e treni in ritardo, e sguardi tesi, e semafori rossi, e clacson che suonano impazienti quando c’è coda in tangenziale, e amici sorridenti per le strade che fanno notte e il giorno bussa alla porta quando le occhiaie sono appena nate e le bottiglie sono finite da poche ore, e calze rotte con gonne lunghe 20 centimetri e maglie scollate, e capelli spettinati all’alba illuminata com’era il nostro viso ieri sera prima che il trucco colasse, e le polveri sottili che ne respiriamo a quintali ogni settimana, e le piogge acide che quando vengono distruggono e logorano i monumenti nazionali e poi dicono che siamo noi questa gioventù bruciata, e le statue ai centri delle piazze che non riusciamo a capirne la grandezza, e le statue ai lati delle piazze che invece di quelle non riusciamo a capirne il senso, e la divina commedia letta tante volte e recitata dal tuo eroe, e i promessi sposi con il decameron, e mille parole su cento libri che dimentichiamo i concetti ma le lettere in ordine le ricordiamo, e i fiori che non abbiamo visto mai se non fuori da qui ma che abbiamo sognato sempre, e le giacche grigie e i tubini e i colori troppo sgargianti, e i tatuaggi e i piercing e i capelli prima colorati e poi scolorite e le rasate e i rasta, e la gente che si gira accorgendosi poi che è di fretta e che non può perder tempo perchè se perde quella metropolitana probabilmente lo licenziano, e i palazzi alti tanti piani che contati per tre metri ciascuno ti fanno sembrare il palazzo una cosa cosi imponente da succhiarti l’anima, e di nuovo ancora le facce tristi e i sorrisi mancati e gli occhi vuoti, e le ore grigie passate sotto queste nuvole nere, e la nebbia nella provincia che rende tutto più cattivo e forse un po’ più misterioso, e i morti nei cimiteri che giocano a chi ci rimane di più in quelle bare fredde e anche un po’ fetide, e le case povere della periferia, e i quartieri malfamati, e la bella società che rimane nel centro perchè in realtà fa più figo, e le città di provincia che sembrano cosi piccole, e i provinciali cosi grezzi, e i cittadini grezzi uguali, e la neve rara e il ghiaccio che manda in palla migliaia di persone che poi diventano tristi senza sorriso e con gli occhi vuoti, e mille schiene piegate.
-Io, su una città.

Olfattivo.
Che belli, tutti questi fiori. Mi fanno venire qualche bozza di sorriso sulla faccia.
E mi fanno tornare un po’ quella voglia, che non avevo da anni, che i fiori di montagna mi facevano voler sentir il loro odore. Cosi fresco, aromatico. Meglio che annusare l’havana appena ossigenata che ha preso il loro posto, quei fiori me lo liberavano meglio, il naso. Quei fiori erano più belli da vedere, più melodiosi da ascoltare, più soffici da toccare, più freschi da annusare, più dolci da mangiare. Quei fiori, poi, venivano dal cuore della vita. Da quel cielo azzurro, quei campi verdi e quella roccia grigia, resi ancor più splendidi dalle migliaia di sfumatore dei fiori. Quanto amore.
-Io, quando ho riscoperto i fiori.

Nemmeno il tuo sterno si muove più.
Un solo respiro, quello che a me basta per vivere ogni giorno, quello che a te è bastato per morire una domenica. Quanto dura un respiro, nonno? Il tempo di aprire l’acqua per lavarsi le mani. Il tempo che una tua figlia chiuda la macchina. Il tempo che l’altra risponda al telefono, e tua moglie l’avvisi. Il tempo di sentire ‘è mancato?’, il tempo di guardare il piatto e reprimere le lacrime. Il tempo di guardare negli occhi la propria amica e magari tentare di sorridere. Il tempo di non guardar più nessuno negli occhi. E’ stato tutto questo, e poi sono state ore interminabili, sono ore interminabili. Ti ho accarezzato la testa, eri ancora caldo, cuore mio. Le mani gelide mi hanno ghiacciato l’anima. Le tue braccia cosi piccole, similgrissini. Settimane di stenti, e respiri tirati, settimane di digiuno e settimane senza bere, questo hai passato. E mentre il mio cervello elaborava miliardi pensieri, in dieci minuti non eran solo più le tue mani a gelarmi l’anima. La tua mente, ormai fredda e distante, mi ha bloccato il flusso di indicibili parole, nonno. Ho i muscoli contratti, soppungo che una spranga si piegherebbe se mi arrivasse sulla schiena ora, come ieri, come anche domani. Poi eri (e sei) un figurino con quel vestito nonno, comprato dopo 15 chili in meno, ma già extralarge per te mio fuscello. Ho scritto per te, su un fazzoletto di carta, ho scritto per te l’amore, e te l’ho piegato nella tasca sul cuore. Quella tasca dove ho messo una margherita raccolta con le lacrime al cuore e i battiti agli occhi, quella tasca dove è racchiuso il mio amore. Nonna in quella tasca ha messo la patente nautica, nonno, cosi dove troverai gli oceani non avrai problemi, dice lei. Che tenerezza, triste e colma d’amore. La tua faccia si distende, (sembra quasi un sorriso, e un sorriso è quello che io ci vedo,) e le nostre si fanno piangenti. E all’inizio sembra un incubo quasi vero, sono in giro per i corridoi con gli occhi gonfi, e rubo biscotti nel salotto, perchè che altro fare non so. Poi andiamo fuori, quando ti portano, e c’è un gatto, nonno c’è un gatto. Un bellissimo, pelosissimo gatto. Mi avvicino, e scappa, tiro fuori un biscotto ma ormai è nascosto, e raccolgo margherite. Mi sembro un bambina, ma non penso nulla e tu sei morto. E’ cosi tutta la domenica. Ma la sera arriva quel momento che ti accorgi delle cose. E si realizza in quel momento cos’è successo veramente.
Si realizza troppo tardi che è davvero tutto finito, che nel sonno non stringerai più la mia mano, che non potrò mai più vederti mandarmi baci. Non vedrò più i tuoi occhi spalancarsi illuminati, come quando cantavo per te. Non tremeranno più le tue dita. Nemmeno il tuo sterno si muove più.                                                   Sarai sempre la mia statua di cera, amore mio, tristezza mia.
-Io, quando mio nonno mi ha lasciata per sempre.

Maledette siano le catene di queste abitudini. Benedetta sia la ruggine che le logora ogni giorno sempre più, grazie a cui riuscirò a spezzarle.
-Io, sulla routine.

Stomaco vuoto.
Ho un nodo all’esofago e una molletta in gola.
Il mio stomaco ha chiuso la porta a chiave, ed è vuoto. E’ vuoto il mio stomaco, cosi c’è più spazio per quelle farfalle che vogliono volare e sbattere contro le pareti. Cosi c’è più libertà per quelle farfalle che io non ho.
-Io, sull'amore che non ho.

Un accordo di DoM.
E poi ciò che conta è l’armonia di un corpo, la leggerezza nel movimento. Se si è diversi nello sguardo, profondo, e nel sorriso, contagioso, e nel pensiero, particolare; allora si, si è a metà dell’opera.
-Io, paragonando l'armonia all'essere umano.

Fragile.
E ricordo le nostre mani intrecciate, i nostri sguardi che si incrociavano. I lividi, giocando su quel letto, con meno grazia di quanta ne avremmo dovuta avere. Le risate, i silenzi. E poi le ossa, che per come sono fragile io, si sbriciolavano sotto il peso del tuo amore, in fondo cosi leggero. Vorrei delle ossa di gomma, per poter sostenere tutto. Per poter cadere ovunque. Vorrei delle ossa di gomma, magari, potendo, rosse.
-Io, mettendo a confronto un amore inutile ad un cane fedele.

Dimmi tu, che lo sai bene.
Dimmi tu, che lo sai bene, qual è il rumore di un cuore infranto. Com’è il suo odore dopo averlo strappato dal petto della persona che ti ama. Come batte, nelle tue fredde, marmoree mani. Dimmi che suono produce, quello di un torrente che scorre in estate, o quello di una slavina d’inverno. Profuma di rose, o odora di morto. Gela o bolle, al tatto. Perchè quando me l’hai tolto dal petto, io lo sentivo ancora, aveva uno strano odore, non di rosa, non di abete, ma di giorno d’estate. S’è fermato per qualche giorno primaverile, preparandosi al caldo di nuovi tempi. Dimmi tu, che lo sai bene, quanto ti ho amato. Dimmi tu, che lo sai bene, che ora ho smesso, e il mio cuore sta nei miei pensieri.
-Io per un vecchio amore.

E’ ora di dormire sonni tranquilli,
e di non dimenticare più il cuore chiuso a chiave in una cassa toracica troppo stretta.
-Io, sulla mia insonnia.

Che bella questa terra.
E sono innamorata dei Beatles, di questa stanza luminosa, delle nuvole, delle luci che potrò fotografare questa sera. Sono innamorata del vetro che mi consente di ammirare questa bella terra, di Faber, del mio vecchio e logoro clarinetto, della mia voce. Sono innamorata di questa terra che mi ha fatto con un udito, un olfatto, una vista, un tatto. Sono innamorata del mio nuovo golf, del profumo dei fiori, di quello che scrivono le persone, di quello che le persone mi dicono. Essenzialmente sono innamorata di te, di lui, di lei e di me, perchè è giusto che sia cosi. Sono innamorata di una chitarra che suona, di un rumore, di una bella vista dalla collina, dell’aria frizzante che graffia la faccia. Sono innamorata degli alberi in corso francia, dei negozi in via roma, di questa chiusa strana pianta che in pochi minuti con un po’ d’acqua si allarga, della mia rotta famiglia. Sono innamorata del salmone affumicato, di una buona cioccolata, di un buon film, di un buon libro. Sono innamorata delle piante che crescono, del fiume che scorre, degli uccelli che volano, delle rane che saltano. Sono innamorata di quest’enorme, luminosa vita.
-Io, innamorata della vita.

Per me questo è l'amore, eterno.
Ti svegli e ti giri, non c’è. Ti alzi e lo cerchi per la casa, lo vedi, un grosso sorriso ricopre il tuo volto, i tuoi occhi si illuminano di una luce come poche. Vai nella sua direzione, lo branchi con amore, un enorme bacio parte spontaneo. E non puoi fare altro che coccolarlo, per ore, se lui vorrà. Ti ricambierà a suo modo, si farà sentire, ti amerà come solo lui sa fare.
Venendo, mentre sei indaffarato, a cercare le coccole, magari, miagolando. A fare le fusa. Come solo lui sa fare, come solo lui sa occupare un posto nel cuore.
-Io, sul gatto.

Piaghe da decupito.
Stare ferma immobile è estremamente rilassante, nel silenzio. In piedi, seduta, sdraiata, in ginocchio, che differenza fa? Non sei più tu a muoverti, però. Le cose intorno a te girano vorticosamente. I quadri alla parete, il letto, i libri, la scrivania, addirittua il ping pong e il calorifero. Le pareti intere fanno venire un po’ di nausea. Ci sarà qualcosa che riflette davanti a te, prima o poi e ti vedrai li, fermo. Probabilmente ti chiederai perchè. Io mi sono chiesta il perchè, io mi sono vista li ferma, io non ho capito cosa succedeva. Mio padre era di là, discuteva, con mia sorella. Ero semplicemente dietro la parete, accovacciata, con lo sguardo fisso e i muscoli tesi. Probabilmente il gatto mi è anche passato davanti, chi lo può sapere. E’ quando ti alzi, ti muovi, che comincia il problema, tutto si ferma. In un solo, piccolo istante, ogni cosa si blocca. E sei tu a muoverti. Chissà che nausea avrà la casa, il mondo. Dovremmo imparare a stare fermi più spesso, anche con lo sguardo perso, perchè in ogni caso le cose si vedono muoversi. Dovremmo imparare ad aspettare il nostro riflesso, a rispettarlo. Imparerò a farlo.
-Io, sul pensare.

So che è un post probabilmente troppo lungo e che quindi nessuno lo leggerà. Volevo solo riuirli tutti in un unico luogo.

1 commento:

  1. Tornerò a leggerlo perchè ora devo uscire... hai fatto bene a riunirli, mi piacciono, sai? :) Sei brava a scrivere... sono nuova qui dalle tue parti, mi sono messa fra i tuoi lettori. Passa da me se ti va...

    ps: bellissima la gatta! Mi dispiace che tuo padre abbia portato via il cane, comprendo perfettamente il vuoto e la rabbia che ti ha provocato la sua assenza.

    Serena :*

    RispondiElimina

Aprite i vostri pensieri a delle orecchie pronte ad ascoltare.